venerdì 7 giugno 2013

THE END.

Amici, compagni di strada, lettori vari ed eventuali.

Voi.

E' giunto il momento della parola FINE.

Non son riuscito a gestire questo blog come avrei voluto. 

Diciamo che è morto di morte naturale, ecco.

Al suo posto, uno spazio ben più personale e delirante.  


Se vorrete passare per un saluto o una lettura veloce, sarete ben accetti.

Un saluto dal cuore.

A presto.

Flavio.

giovedì 27 gennaio 2011

La Strada

Benvenuto, mio Ospite.
Prego, siediti pure accanto a me. Non farti problemi, la mia casa è anche tua, se lo vuoi!
Immagino tu sia stanco, vero? Oh, posso immaginarlo. Tutti quelli che vengono da me lo sono.
Ma talvolta fermarsi è l'unico modo per ripartire, in fin dei conti...
Gradisci qualcosa da bere? Rinfrescarsi il palato aiuta a rinfrescarsi le idee! 
Tieni, bevi pure! Avere la gola secca porta ad avere una mente ancor più secca, e non credo sia questo che desideri, no?
Allora... Immagino tu sia giunto qui per un motivo ben preciso, vero?
Come no? Non è possibile! Nessuno arriva qui per caso! 
È la Strada, la Strada che ti ha portato qui.
La Regina di tutte le cose, Colei che passa ovunque, senza fermarsi in nessun luogo.
Un mondo a sè, fatto di polvere, calli e mal di piedi. Un cammino con un inizio e una fine, ma senza che sia mai cominciato, e senza che mai finirà.
Un cammino lungo come il battito d'ali dell'Anima: eterno.
Come dici? Non capisci?
Tranquillo, è normale non capire.
Ma d'altronde, cos'è che capiamo, in quel meraviglioso caos che è la Vita?
Chiudi gli occhi.
Guarda lì: sono i tuoi genitori. Lì invece c'è il tuo migliore amico, lo vedi? E quella ragazza laggiù, la riconosci? E quell'altra? Due dei tanti amori della tua vita, effimeri respiri di un Cuore in costante ricerca di Qualcosa, di un motivo per continuare a battere. E lei? Ti ricordi di lei? Il tuo primo grande amore, il sogno mai sopito di un sentimento perfetto... E poi la tua maestre, i tuoi professori, il tuo capo..
Gli amici e i nemici, i protagonisti e i comprimari. Belli e brutti, buoni e cattivi.
Gli attori del tuo Teatro.
Le vedi, queste figure? Relazioni tra persone, sentimenti, affetti, legati imperscrutabilmente tra loro... Ne capisci il senso? Capisci il motivo della loro presenza nella tua vita? 
E... capisci il motivo della TUA presenza, nella tua vita?
No, vero? 
E allora come puoi pretendere di capire un povero vecchio, se non riesci nemmeno a capire te stesso? 
Ma d'altra parte, come puoi tu, Uomo, credere di poter comprendere la Vita?
Assaporala, sentila, respirala. 
Godi di ogni singolo istante, perchè ciascun istante è unico, e non si ripeterà mai più!
Non pretendere di trovare spiegazioni all'Ineffabile eterno: ma gioisci, oh sì, gioisci di questa Ineffabilità pura e cristallina!
Come dici? Devi partire? Lo capisco.
Ma per andare dove? Qual è la tua meta?
Non rispondi, vedo. D'altronde, non sai da dove sei partito, certo non puoi sapere dove arriverai...
Questo è un bene, nobile Ospite.
Un Cammino non ha bisogno di un inizio e una fine: il Cammino prosegue, e prosegue, e prosegue.
E questo è l'importante.
Puoi scegliere come andare avanti, certo: ci sono due sentieri che puoi percorrere, ma a lungo andare c'è sempre tempo per  cambiare strada...
Ma non puoi decidere tornare indietro.
Mai.
Propongo un brindisi: a te, alla Strada, alla Vita e al Presente.
Non al Passato, ormai è andato. Non al Futuro, perchè lo costruirai istante per istante: ma al Presente, l'Adesso, che non appena finisce eccolo dimostrare la sua eternità, rinascendo dalle sue ceneri.
Brinda con me, e sorridi.
Che i tuoi piedi possano battere ancora e ancora il polveroso Sentiero.
Che le tue gambe ti portino su Strade serene.
Che il Cuore e la Mente ti conducano dove solo loro sanno.
Che tu possa proseguire il tuo Cammino per la stessa ragione del Viaggio: viaggiare. 
E che tu possa respirare per sempre questa triste, caotica, disperata, malandata, imperfetta e ineffabile meraviglia che è la Vita.
Addio.

giovedì 9 dicembre 2010

Il Confine

L'uomo entrò nell'appartamento. Era un esperto, uno specialista.
Uno che sapeva il fatto suo: era passato attraverso una finestra che prima era chiusa, e che ora giaceva a pezzi in terra. Quindi aveva velocemente disattivato l'antifurto iper-tecnologico della villa.
Il tutto senza il minimo rumore.
Io dormivo vicino alla mia amica, Maria.
Amica...
Forse non è la parola esatta per descrivere il nostro rapporto...
Quando eravamo più piccole giocavamo sempre assieme; anzi era lei che giocava con me... Mi preparava la pappa con la sua cucina giocattolo, mi portava in giro per il giardino della villa, a volte andavamo anche al parco insieme...
Ma un giorno, si era semplicemente stancata di me.
Preferiva passare ore e ore a giocare con quelle stupide Barbie, o con altri giocattoli ultramoderni, piuttosto che stare con me! Il tempo che passavamo insieme era sempre minore, il tempo nel quale ci divertivamo insieme... Beh, era ancona meno.
Capitava sempre più spesso che lei se ne uscisse con frasi del tipo “Non posso giocare con te, ora ho da fare!”.
E qualsiasi cosa avesse da fare, era evidentemente più importante di me.
Sempre.
Quella notte, stavo dicendo, dormivo sì vicino a Maria, ma mentre lei era sotto le coperte, io ero per terra.
L'uomo scavalò i resti della finestra e si guardò intorno, come se stesse cercando qualcosa.
Lui era grasso, molto grasso, incredibilmente grasso.
Ma il viso tondo... l'espressione ingenua e al contempo dolce dei suoi occhi... Non potevo sbagliarmi, era quella di un bambino.
Il suo sguardo vagava per la cameretta, si posò su Maria... Ma subito egli scosse la testa e riprese a osservare.
Vide dei videogiochi, un computer nuovissimo, un cellulare di ultima generazione...
Giocattoli su giocattoli, usati una volta e poi accatastati su mensole e ripiani vari.
I segni di un mondo che ci ingozza in nome del Sacro Denaro.
Ma alla fine il suo sguardo mi raggiunse.
I suoi occhioni azzurri si illuminarono, le sue mani presero a tremare...
Ero io ciò che cercava.
Si avvicinò titubante, mi prese fra le sue braccia.
Mi accarezzò il capo.
Mi sussurrò di non aver paura.
Mi disse che era arrivato il momento in cui sarei dovuta andarmene.
La tua amica – bisbigliò – è cresciuta... non le servi più... finirai abbandonata...”
Sospirò.
Vieni con me. Ti prego.” concluse.
Lo guardai negli occhi...
Vidi un uomo ancora bambino, infante in un infanzia mai vissuta veramente.
Vidi un padre bere fino a morirne.
Sentii il dolore delle botte e delle cinghiate.
Vidi una madre che lo derideva e lo cacciava di casa.
Vidi una donna che lo derideva e feriva mortalmente i suoi sentimenti.
Sentii l'amaro sapore della disperazione.
Questo e altro vidi; poi guardai Maria: una bambina ricca, viziata, con giochi ultratecnologici, vestiti alla moda e Dio sa cos'altro.
E presi la mia decisione.
L'uomo capì. Mi prese delicatamente in braccio e uscì, in modo sorprendentemente agile.
Eravamo nel giardino della vila. Famiglia ricca, quella di Maria: papà avvocato, mamma dentista, zio politico... Nonno mafioso... Insomma, gente piena di soldi.
L'uomo scavalcò il maestoso cancello e iniziò a camminare nella notte, nostre compagne di viaggio le stelle, nostra guida la luna.
Cammina cammina, arrivammo in una stradina buia.
CITTA' VECCHIA”, diceva un cartello.
Il mio uomo sospirò e superò quello che veniva descritto dai parenti di Maria come “il confine tra la gente perbene e la feccia”.
Dopo qualche minuto arrivammo nei pressi una bettola. “Da Jones”.
Entrammo.
Odori pungenti invasero i miei sensi: alcool, fumo, sudore...
Un vecchio suonatore diteggiava una triste canzone alla chitarra, mentre uno zingaro teneva il tempo col piede.
Un poliziotto giaceva ubriaco marcio sul tavolo con la divisa sbottonata, bagnato di birra e di lacrime.
Una giovane allattava il suo piccolo in un angolo, lontana da sguardi famelici.
Un vecchio sedeva alla finestra fumando una lunga pipa mentre osservava il cielo.
Ci sedemmo.
Una donna si avvicinò al nostro tavolo. Alta, attraente, sensuale.
Chiese al mio uomo con voce languida se desiderasse qualcosa.
Lui rispose che sì, un bicchiere di vino sarebbe stato l'ideale.
La stangona glielo portò. Lui bevve.
E mentre beveva mi accarezzava i capelli...
Vedi – diceva – questo posto viene spesso definito come un rifugio di peccatori. Obesi, alcolizzati, drogati, assasini, stupratori, prostitute si riuniscono qui... Ma – proseguì – che strano! Dove sono i politici che predicano bene e razzolano male? Dove i banchieri che per arricchirsi nonsi fanno problemi nemmeno a scatenare guerre? E dove sono i giudici corrotti, i poliziotti violenti, i ricchi drogati, i rispettabili borghesi che non hanno altro Dio all'infuori del denaro? Non li vedo. Questo fa di loro buoni, e di noi i cattivi?”
E mi accarezzava i capelli...
Qual è il confine tra civiltà e barbarie, tra buoni e cattivi? La risposta della Società perbene è chiara: da una parte ci sono i buoni, dall'altra i cattivi.
Ovvero, da una parte i ricchi che possono comprare persino l'amore, dall'altra i poveri che baratterebbero l'anima per un tozzo di pane.
L'uomo pagò la bevuta, poi uscimmo di nuovo.
Arrivammo davanti a una casa diroccata.
Una targa di cartone, attaccata con dello scotch sul portone, diceva “Hic est Finis.”... Questo è il Confine.
Entrammo. Lui accese una candela. E vidi. Non credevo ai miei occhi.
Qui – disse – ci sono le Cose abbandonate. Cose... adoro questa parola. Può voler dire tutto e niente.”
Mi guardò raggiante: “Qui starai bene.”
E vidi.
Vidi scaffali pieni di bambole, bambolotti, cavallini a dondolo, libri ammuffiti, giocattoli rotti...
Cose.
Cose alle quali donarono pezzi di Anima e di Vita, ma abbandonate alla prima occasione.
Sai perché ho appeso quel cartello alla porta? Perché, varcata la soglia, il confine appunto, non sono più un obeso sognatore emarginato dal mondo, ma sono un Dio. Ho ridato la vita a Cose alle quali la Vita era stata tolta.”.
Sentii forte come un tornado l'amore che lui provava per me e per le altre Cose, e lo ricambiai con tutto il mio cuore quando mi prese con le sue dolci mani grasse e mi mise su uno scaffale.
BAMBOLE DI PEZZA”, c'era scritto.
Ero finalmente a casa.

EPILOGO
L'indomani Maria si sveglierà e troverà la finestra della sua cameretta rotta, oltre che una bambola in meno.
La bambola che le aveva regalato la nonna il giorno del suo primo compleanno.
Ma a lei che importerà?
Ne avrà altre per rimpiazzarla, più nuove, più belle... A che serve una stupida, futile, bambola di pezza?
A che serve?...
Che qualcuno che forse lo sa...
Come quel grosso, obeso sognatore che con l'Amore ha creato il Confine.


lunedì 4 ottobre 2010

La Donna e il Bambino

Inverno.

Una strada corre solitaria verso il Vuoto.

La paura di un bambino non voluto, solo contro un mondo che non va.
Il terrore cieco, indomito. Un involucro di amore abbandonato su ciottoli senza nome.
Invano, il piccolo cerca una parola di conforto, un tiepido bacio, il seno della madre. Ma sulla nuda strada, lontano dallo sguardo del Mondo, soltanto il freddo gelido è lì con lui.

Le urla di una donna disperata, vittima di un destino costruito da altri. Le catene della sua mente si confondono tra i morbidi capelli. Le timide braccia sono conserte, salvo poi aprirsi quando uomini senza nome la posseggono.
Lo sguardo sofferente cerca invano amore nelle decine di occhi che ogni notte incrocia.
Ma un oggetto non può essere amato. Solo pagato.


D'un tratto, un pianto squarcia la notte cristallina.

La donna cammina, verso l'insolito suono.

I battiti del cuore rieccheggiano nella notte, mentre si china verso il piccolo.
Il pianto cessa.
Due occhioni incrociano lo sguardo della giovane donna.
E l'Amore entra impetuoso nel suo cuore.

Una lacrima cade, mente la Donna prende dolcemente in grembo il Bambino.
Lo accarezza affettuosa, lo culla e lo bacia.

Emozioni di felicità proibita, di gioia senza fine.

Il piccolo piange ancora un po', poi si cheta, ossevando la strana figura. Sente nel profondo del suo cuore Amore.

La Donna lo bacia di nuovo, poi inizia a cantare.


"ninna nanna mamma, tienimi con te...
nel tuo letto grande solo per un po'...
una ninna nanna io ti canterò...
e se ti addormenti, mi addormenterò..."

Vaghi ricordi affiorano nel cuore della Donna.
Una madre affettuosa, un letto tiepido. Un Amore piccolo come un sassolino, ma grande com il mondo...

Il vento la accarezza, la culla, le asciuga le lacrime da tempo dimenticate.

"dormono le case, dorme la città...
solo un orologio suona e fa tic tac..."

Dei fari illuminano la strada. Il ruggito di un motore in lontananza.

La Donna alza lo sguardo. Un peso inizia a schiacciarla.
 


"anche la formichina si riposa ormai...
ma tu sei la mamma e non dormi mai..."

La Macchina si avvicina sempre più. Il Bambino si agita, ma lei lo stringe a sè ancor più forte.

"ninna nanna mamma, insalata non ce n'è...
sette le scodelle sulla tavola del re..."
 
La Macchina si ferma a pochi metri da lei. Aspetta paziente la sua preda.
La Donna guarda il piccolo, che risponde allo sguardo con gli occhietti socchiusi.

"ninna nannamamma ce n'è una anche per te...
dentro cosa c'è? solo un chicco di caffè..."

Il Bambino dorme ormai sereno. La Donna lo guarda, ricolma d'Amore.
Lo bacia sulla fronte, dolcemente. Il battito del suo cuore si confonde con quello timido del piccolo, ebbro di felicità.

La Donna alza lo sguardo.
La Macchina, una sagoma nera pronta a possederla, la osserva, e il Freddo la travolge.

La Donna guarda il bambino, che dorme placido e inconsapevole.
Poi guarda la macchina.

Amore. Paura. Amore. Freddo. Amore. Disperazione.

Sa che quel sogno effimero appena vissuto è destinato a scomparire ai primi raggi del sole mattutino.

Sa che davanti a sè c'è la sola, unica, vera realtà.

Posa dolcemente il Bambino sulla nuda terra.
Gli sfiora la guancia con un ultimo bacio.

E ormai sola nel buio che la possiede, piange.


domenica 22 agosto 2010

Il Cacciatore

Il silenzio regnava incontrastato, quella sera.

Il vento sussurrava dolci parole ammaliatrici tra le foglie degli alberi, mentre un manto di cielo stellato ricopriva il mondo intero.

Ma non tutti dormivano.

Il crepuscolo era per molti un segnale, il segnale che la caccia poteva avere inizio.

Il Cacciatore era tra questi.
Nascosto tra le fronde, osservava con fare distaccato la sua preda.

Lei era ignara di avere il fiato della Morte sul collo.
Lui, invece, era la Morte. Era la sua natura, tutto qui.

Francamente se ne infischiava. Non c'era niente di personale in quello che stava per fare: lui uccideva per vivere, e viveva per uccidere.
Il suo destino era di cacciare, il destino di lei era di essere cacciata.

Il Cacciatore lanciò un'ultima occhiata alla vittima, dopodichè si preparò ad agire secondo la sua natura.
Ancora pochi passi e avrebbe attaccato.

Tre passi...

Due passi...

Uno...

La preda non ebbe il tempo di dire “Ah”: il Cacciatore le era balzato addosso e l'aveva stordita con un colpo mirato al collo.
La caccia era riuscita, pensava il Cacciatore mentre squartava metodicamente la carcassa sanguinolenta che giaceva ai suoi piedi.

Nessun rimorso per l'azione appena compiuta: lui ammazzava solo ed esclusivamente per sopravvivere, non per divertimento, né per diletto.
Tutto sommato era molto soddisfatto: la carne della vittima sarebbe bastata per giorni e giorni, non avrebbe sofferto la fame almeno per una settimana.

Sì, era decisamente felice.

Troppo felice perchè tutto ciò potesse durare.

D'un tratto un rombo come di tuono e un boato simile a un terremoto scossero l'intera foresta.

Il Caccitore non se l'aspettava.

Capiva che stava per succedere qualcosa.
Qualcosa di terribile, qualcosa da cui scappare.

Si guardò attorno, disperato.

Ma era troppo tardi.

Qualcosa gli perforò lo stomaco, facendolo cadere a terra, e subito dopo qualcos'altro gli trapassò il collo.

E mentre crollava capì.

Capì che stava per abbandonare questo mondo, come un attore abbandona il palcoscenico dopo lo spettacolo.
Capì di essere giunto veramente alla fine.

E capì che da Cacciatore era diventato Preda.

Ma non poteva essere! Tutto ciò era irreale! Era contro natura!

Fu allora che vide i suoi aggressori.
Erano due, esili e brutti, ricoperti di vestiti e cappellacci, con in mano degli insoliti bastoni fumanti. Il Cacciatore
sentì il sangue colargli lentamente dalla bocca, annebbiandogli la vista e inebetendolo.
L'odore che sentiva era un misto di sangue e terriccio.
L'odore della Morte.

Capì che la Morte era arrivata proprio da quegli strani bastoni.

Agonia, dolore, tormento, ma anche rassegnazione: ecco ciò che il Cacciatore sentiva dentro di sé.

Sentiva i suoi aggressori parlare tra di loro.

“Hai visto, Howard? La caccia è andata bene anche stavolta!”
“Sì, Rudolph! Questa è la tigre più bella tra tutte quelle che abbiamo accoppato finora!”
“Guarda che pelliccia a strisce! Che denti! Howard, amico mio, pensa ai SOLDI che riceveremo per la carcassa di questa schifosa belva!”
“Cristo, hai proprio ragione! Ma... Rudolph! Guarda! La bestiaccia ha ammazzato un cervo!”
“Oh mio dio, non è possibile! Un cervo così bello! Sgozzato da un mostro! Maledetta belva! BASTARDA!!!”
“Povero cervo... Morto per assecondare i luridi piaceri di un simile mostro... Per fortuna lo abbiamo ucciso adesso... Pensa quanti altri cervi sarebbero potuti morire per colpa di questo maledetto!”
Il Cacciatore sentiva i calci dei due aggressori, gli sputi, le ingiurie.
Tutto ciò era veramente triste.

Capì che la sua ora era arrivata.

E mente si apprestava a lasciare questa valle di lacrime, capì anche di essere morto per niente.


Uccideva per vivere, e viveva per uccidere

Gli amanti (René Magritte)

Non ti vedo.

Sento che ci sei.

Sento la tua presenza, dietro il velo.
È tutto buio, non capisco più nulla.

Sento la tua presa forte, il tuo respiro su di me...
Ma dove sei, Amore?

Parlo, ma non sento la mia voce.
Urlo, ma non emetto suono.

Sento il contatto delle nostre labbra.

Ma c'è qualcosa tra noi.

Ho freddo.
Dove sono gli sguardi spensierati? Il calore? L'Amore?

Timidamente, ti allontani. E sento che stavolta non tornerai.

Piango, ma non scendono lacrime.

Cado, ma non sento dolore.

Muoio.

Ma non sento niente.

René Magritte, "Gli Amanti"

sabato 21 agosto 2010

La Voce del Mare


Un lampo.

Un tuono.

 
La pioggia scrosciante annebbia la mia vista, tingendo il mondo di grigio.

Onde simili a draghi fumanti si ergono minacciose all'orizzonte.
Il cielo è scuro, le nuvole nere corrono trasportate dal vento.

Solo, in mezzo al mare. Come sempre.


Un lampo.

Un tuono.


Una tempesta come non se ne vedevano da anni.

Le vele colpite dal vento emettono un rumore straziante, nero come il cielo stesso.
Un ruggito sconquassante, un urlo ancestrale di vendetta.

Chiudo gli occhi, assaporando quel sapore di salsedine che tanto mi è familiare.

Reggo con mano salda il timone, con l'altra mi asciugo la fronte imperlata di sudore.

Solo, in mezzo al mare, dimenticato da Dio e dagli uomini.

Questa è la mia vita.
La natura mi sfida, e io rispondo.

E dopo ogni tempesta, lo so, tornerà il sereno.

Così era e così sarà.


Un lampo.

Un tuono.


Un'onda colpisce, e un'altra, e un'altra ancore.

Stringendo i denti, ruoto vigorosamente il timone.

Un cavallone solitario si avvicina.

Riesco a domarlo.

Chiudo gli occhi e grido, forte, con tutto me stesso.

Il mio urlo è una sfida, mi scuote nel profondo.

Continuo finchè non ho più fiato in gola.

La sensazione che si prova a sfidare la Natura.
E vincerla.
È indescrivibile.


Un lampo.

Un tuono.


Onde sempre più alte mi colpiscono.

Incasso i colpi e rispondo agli attacchi con la stessa energia.

Barcollo sotto i fendenti dell'Oceano, ma non ho intenzione di arrendermi.
E Lui lo sa.


Un lampo.

Un tuono.


Ma lentamente il mare si cheta.

Il cielo si tinge di rosso.
Il sole tramonta, dipingendo le nuvole degli ultimi colori del giorno.

Mi sdraio sul duro legno.
Accendo la pipa, e con aria sognante guardo il prato azzuro sopra di me.

Urla di gabbiani.

Brezza.

Pace.

Mi riempio i polmoni di gioia.
Un'ebbra gioia che tutto riempie.

Inspiro.

E dolcemente espiro.

Questa è la mia vita.

Io, e la Natura.
Nessun altro tra di noi.

Solo la Voce del Mare.

Totale libertà.

E la consapevolezza che dopo ogni tempesta ci sarà sempre il sereno, e viceversa.

La vita è come l'Oceano.
Ognuno sceglie la sua barca, la sua rotta.

E passo dopo passo, si costruisce il futuro.



Mi alzo lentamente, per non rovinare la sacralità del momento.

Un ultimo sguardo al Sole, prima del suo riposo.
Un saluto.

E poi, qualcosa cambia.

Un lampo.

Un tuono.


Nubi nere all'orizzonte. Prime gocce di pioggia.

Sorrido, aspirando le ultime
 boccate di tabacco.
 
Afferro con forza il timone, scostandomi i capelli dal volto.

Il Destino, quello che ogni giorno mi costruisco con le mie scelte, sta bussando alla mia porta.

E io sono qui per accoglierlo.



Un lampo.

Un tuono.



Cum Panis

Compagno.

Compagno di viaggio, di strada, di avventure, di sventure.

Compagno di vita.

Deriva dal latino "cum panis", significa "colui con cui si divide il pane".
Un gesto intimo, fraterno, che indica fiducia, vicinanza, amicizia vera e immortale.

Compagno.

Una parola troppo spesso legata a sbiadite etichette e consunti stereotipi.

Dimenticateli.

È una parola vera, viva, sacra.
Una parola che evoca la lunga strada polverosa, l'orizzonte sconfinato, le distese di terra ancora inesplorata, il rifiuto di ogni catena e vincolo.

Evoca libertà.

Si è compagni se si è liberi da schemi mentali, ideologie, dogmi.
Se si è ciò che si è.

Siamo tutti diversi, e siamo tutti uguali.
Camminiamo tutti sulla stessa Terra.

Ci sono tante strade, certo, e ognuno deve sceglierne una.

Vuoi percorrerla con me?

Allora sarai compagno per me, e io lo sarò per te.

Ora e sempre.

Compagni di vita...

venerdì 20 agosto 2010

Rapsodia Gitana

Questa è vita vera... o è solo fantasia?
Travolto da una frana, senza scampo dalla realtà .
Apri gli occhi.
Alza lo sguardo al cielo e vedrai...

Sono solo un povero ragazzo, non ho bisogno di essere capito...
Perché mi lascio trasportare, sono un indolente, un po' su, un pò giù...
Comunque soffi il vento,
a me non importa.

Non importa...

Mamma, ho appena ucciso un uomo.
Gli ho puntato una pistola alla testa, ho premuto il grilletto.
Ed ora è morto...
Mamma, la vita era appena iniziata, ma ora l'ho lasciata e l'ho buttata via.

Mamma, non volevo farti piangere...
Se non sarò tornato a quest'ora domani
va' avanti,
va' avanti, come se niente fosse stato...

Troppo tardi, è venuta la mia ora...
Rabbrividisco.
Il corpo mi fa male in continuazione...
Addio a tutti, devo andare...
Devo lasciarvi tutti ed affrontare la verità.

Mamma, non voglio morire!
Qualche volta vorrei non essere mai nato...

No...

Intravedo una sottile sagoma d'uomo...
Fulmini e saette molto, molto spaventoso!Galileo! Galileo!


Galileo, Figaro, MAGNIFICOOOOOOooo!

Ma sono solo un povero ragazzo e nessuno mi ama... Solo un povero ragazzo di povera famiglia...
Risparmiate la sua vita da questa mostruosità! 
 Mi lascio trasportare, sono un indolente! Mi lascerete andare?
No, non ti lasceremo andare! 
Lasciatelo andare!
Non ti lasceremo andare!
L
asciatelo andare!
Non ti lasceremo andare - lasciatemi andare! 
Non ti lasceremo andare - lasciatemi andare!

no no no no no no no!

Mamma mia, mamma mia! Mamma mia lasciami andare!
Beelzebù ha messo un diavolo da parte per me...

Per me...

PER ME!!!

Così pensate di potermi lapidare e sputarmi in un occhio?!?
Così pensate di potermi amare e lasciarmi morire?!?
Oh tesoro non puoi farmi questo...
Devo solo uscirne...
Devo solo uscire dritto via da qui...

Niente veramente importa. Chiunque può capirlo.

Niente veramente importa...

Niente importa veramente
a me...

Comunque soffi il vento... 

 

L'uomo del deserto

Mare. Spiaggia. Sole.

Bambini che giocano. Un paio di barche a vela al largo.

Estate.

Assopito, assorto nei miei pensieri, assaporo l'odore di salsedine.
Indifferente al resto del mondo, mi concentro sul nero delle palpebre chiuse.

Sento una voce. Una voce dura, roca, al contempo gentile e amara.
La voce di un uomo che vivein un mondo che non è il suo.

Apro gli occhi. I raggi del sole mi abbagliano, poi tutto torna normale.

Lo vedo.

È un uomo scuro, alto e curvo.
Carico di mercanzia: giocattolini che i bambini romperanno dopo il primo utilizzo, cianfrusaglie, oggetti senza valore.
Racchette, statuette, piccoli tamburi, braccialetti.

Guarda dritto avanti a sè, senza mai voltarsi. Gli sguardi di fastidio, se non di totale disprezzo, gli scorrono sulla pelle come acqua fresca.

L'uomo del deserto mi passa vicino. Mi guarda indicandomi la mercanzia.

No, grazie. Non porto mai soldi in spiaggia. È la verità.

Mi fissa un altro secondo. Poi, senza battere ciglio, prosegue per la sua strada, fatta di sabbia, sudore e caldo.

Ma prima di andarsene, i suoi occhi incrociano di nuovo i miei.

E vedo.

Una casetta di legno. Una porticina sgangherata.
Una donna che lo abbraccia amorosa, gli occhi offuscati da lacrime di amore e di tristezza.

Dei bambini, un maschietto e una femminuccia, magri, fragili, osservano l'uomo del deserto dalla loro cameretta.
Non hanno nulla addosso, se non stracci consunti ormai da buttare.

Sento la profonda tristezza che si prova nel deludere i piccoli sogni dei propri figli.
Piccoli desideri. "Stasera forse mangeremo". Cose così.

Provo sulla mia pelle il dolore bruciante dell'ingiustizia, l'amaro singhiozzo di chi non ha nulla e mai avrà niente.

Quando mi riprendo, l'uomo è già lontano.

Lacrime calde, silenziose, annebbiano il mio mondo.

Dove sono la felicità, la spensieratezza di prima?
Forse affogate nel pianto di un bambino.

Mare. Spiaggia. Sole.

Bambini che giocano. Un paio di barche a vela al largo.

Estate.



Dove sono la felicità, la spensieratezza di prima?
Forse affogate nel pianto di un bambino...